Mi appare in sogno Celestino Cossiga, figlio del tutto immaginario del giá Presidente della Repubblica, Presidente del Senato, Presidente del Consiglio dei ministri, Presidente del Consiglio europeo, Ministro dell’interno, Ministro per l’organizzazione della pubblica amministrazione e per le Regioni, Sottosegretario di Stato, Senatore a vita, Senatore della Repubblica e Deputato della Repubblica, Francesco Cossiga.
Mi dice: “Peppe, sono Celestino Cossiga, figlio di Francesco, futuro Presidente della repubblica, Presidente del Senato etc etc…”
Non rispondo, ma nel mio silenzio c’è l’invito a proseguire.
“Vengo per informarti di terribili accadimenti che ci aspettano, a te, a me, e a tutto il popolo italiano”.
“Hai la mia attenzione” dico.
“Ho scelto te per il tuo acume” continua lui
“Grazie” dico io
“Ma in verità non sarà necessario. Non ti chiedo alcuna prova di intelletto. Metti in atto, alla lettera, le indicazioni che ti fornirò e il peggio sarà scongiurato.”
“Scongiurato” dico io.
“Esatto” dice Celestino.
Non l’ho specificato, ma Celestino è un bambino. O meglio, ha l’aspetto di un bambino, di otto anni circa, ma con un accenno di barba, che promette di divenire folta, da lì a qualche tempo. S’infoltirá, di fatto, prima che il sogno finisca, continuando ad allungare fino a raggiungere le scarpine con gli strappi. Una rapida corsa agevolata senz’altro dal breve percorso, vista la pur sempre corta statura di bambino.
Nonostante la giovanissima età, Celestino è vestito come un adulto: pantaloni di velluto a coste, camicia bianca, le già citate scarpe, una giacca beige, a coste anche quella, abbinata ai pantaloni. Non porta gli occhiali. Tiene una mano in tasca e con l’altra gesticola, mentre spiega, passo dopo passo, tutto quello che devo fare.
“Per prima cosa ti sveglierai – dice – e ti farai il solito caffè di sempre. Con la macchinetta. Niente moka. niente latte, niente sorprese. Mi raccomando, è di radicale importanza che sia la solita macchinetta di ogni mattina. Chiaro?”
“Chiaro” dico io.
“Esatto, bravo. Dopodiché ti vesti, come ti pare a te, è indifferente, però è meglio se ti dai una rinfrescata prima e ti rechi a via delle medaglie d’oro, all’angolo con piazza Garibaldi”.
“Dove?”
“Via Pier Paolo Pasolini, angolo corso 11 settembre, te lo vuoi segnare?”
Nel sogno, sono sicuro che prima abbia detto un altro indirizzo. Inoltre ho il forte sospetto che nessuno dei due indirizzi esista realmente. Ovviamente non ho la benché minima idea di quale sia la città alla quale si riferisca il giovane Cossiga. Di questo aspetto, però, non mi preoccupo.”
“Sì, forse è meglio se me lo segno” dico.
Il bambino non si scompone, sfila la mano dalla tasca ed estrae un taccuino di ottima fattura, con copertina di pelle nera. Me lo porge. Lo apro e lo inizio a sfogliare. Tutte le pagine sono interamente bianche, fatta eccezione per un piccolo segno, nell’angolo in alto a destra di ogni foglio: un carattere cinese del quale non conosco il significato.
“Non ho la penna” dico
Cossiga Junior mi guarda.
“Per appuntarmi l’indirizzo, intendo, non ho la penna.”
Celestino infila l’altra mano nell’altra tasca e questa volta tira fuori una comunissima bic blu. Mi porge anche questa.
Appunto l’indirizzo sulla prima pagina del taccuino, anche se non so esattamente cosa sto appuntando. L’ho già dimenticato. O meglio, li ho dimenticati entrambi.
Faccio per strappare la pagina, ma Cossiga mi interrompe, con autorevolezza. La barba intanto gli ha già riempito le guance e inizia il suo processo di allungamento verso il basso.
“Puoi tenere tutto il quaderno” mi dice.
Non me lo faccio ripetere due volte e lo ripongo nella tasca. Anzi, lo ripongo nello zaino. In realtá non è né una tasca né uno zaino, ma un catalogo, come quelli che spesso hanno a disposizione i protagonisti dei videogiochi, da cui possono prendere o in cui possono mettere oggetti.
Il bambino continua con le indicazioni.
“Arrivato sul posto noterai una piccola edicola, con l’edicolante e i giornali. Ti devi avvicinare all’edicola soltanto se non c’è alcun avventore. O, in alternativa, se ce ne sono esattamente quattro, e uno di questi ha un cane al guinzaglio. Qualsiasi altro numero di avventori deve farti desistere all’avvicinarti all’edicola e farti attendere finché il requisito non è soddisfatto. In caso ci siano esattamente quattro avventori, la razza del cane è indifferente, purché non sia un cane bianco. Intendo totalmente bianco, qualche macchia è tollerata. Nel caso il cane sia totalmente bianco, desisti e attendi”
Io annoto tutto.
“Una volta soddisfatto il requisito, e avvicinatoti all’edicola, comprerai il Corriere della Sera. Il costo del quotidiano ti sará rimborsato. Ti siederai sulla prima panchina libera e inizierai a leggere il quotidiano. È importante che tu lo legga nella sua interezza. Ogni singola parola stampata, incluse le inserzioni pubblicitarie. L’unica eccezione riguarda gli articoli che citano esplicitamente l’onorevole Enrico Berlinguer. In quel caso puoi saltare l’articolo. È sufficiente che compaia anche solo il cognome. Tuttavia, se inizi a leggere un articolo, lo devi terminare. Non è che se trovi “Berlinguer” a metà, lo salti. Ormai hai iniziato e finisci. Ti chiederai: Ma come faccio a sapere se c’è scritto “Berlinguer” se non ho ancora letto l’articolo? Devi affidarti al tuo istinto. Ma io fossi in te, per stare sul sicuro, leggerei tutto il giornale senza saltare nessun articolo”.
Nel frattempo la barba ha raggiunto più o meno l’ombelico.
“Continuerai a leggere il giornale, seduto composto finché non sentirai uno sparo. Anche solo un colpo è sufficiente. A quel punto dovrai interrompere la lettura, gettare il giornale a terra, facendo sí che il gesto sia il più eclatante possibile e, cercando di mantenere un tono più assertivo che aggressivo griderai: ‘Io mi oppongo fermamente al rapimento del presidente Giulio Andreotti’. Non ti scordare ‘fermamente’”.
Continuo ad appuntare tutto, ma al nome di Andreotti mi fermo.
“Ma come Andreotti?” dico.
“Andreotti – dice il piccolo Cossiga – il Presidente del Consiglio dei Ministri Giulio Andreotti”.
“Ma il rapito non era Aldo Moro?” chiedo
Per la prima volta dall’inizio della nostra conversazione noto sul volto del bambino uno sguardo da adulto. Uno sguardo preoccupato, nello specifico.
Celestino estrae dalla tasca un fazzoletto decorato, si asciuga la fronte, dopodiché si volta e si allontana, non prima di avermi chiesto di attendere con un gesto della mano.
Al suo ritorno è più sereno.
“Hai ragione – dice – c’è stato un errore nella trasmissione delle informazioni. Il rapito è effettivamente l’onorevole Moro. Tuttavia, il resto delle indicazioni rimane uguale. Fatta eccezione per il caffè. In questo caso è consentito, se lo desideri, un goccio di latte.”
Annuisco, senza annotare la rettifica.
“D’accordo – dico – solo che non capisco perché me lo dite a me. Moro è morto nel ‘78. Quasi cinquant’anni fa”
“Cinquant’anni?” dice Celestino. Di nuovo l’espressione preoccupata. La barba ha ormai raggiunto le scarpe.
“Ma perché, che anno è? In che anno vivi?”
“2023” mento un po’. Comincio a non fidarmi.
“Ma allora è tutto sbagliato! – esclama lui – Niente, fai finta che non ti ho detto niente. Anzi ti sarei grato di non farne parola con nessuno. Mannaggia, ma non me lo potevi dire subito?”
Non so cosa dire
“Dovrei anche chiederti di restituirmi il quaderno” Celestino sembra avere adesso una certa fretta.
Apro il catalogo e gli restituisco il quaderno.
“E la penna” dice
“La penna?” dico io
“Sí la penna, mi serve”
Apro il catalogo e gli restituisco la penna.
Celestino mi ringrazia, mi stringe la mano e si scusa per il tempo che mi ha fatto perdere. Quindi si volta e si allontana.
Prima di svegliarmi lo vedo, davanti a uno specchio poco distante. Si toglie la giacca appoggiandola su una sedia. Si sbottona i polsini della camicia, tira su le maniche, estrae dalla tasca un rasoio e della schiuma da barba e inizia a radersi.
“Mi sorprendo che non me lo abbia chiesto” mi dice continuando a radersi
“Che cosa” chiedo io
“Cosa significhi il carattere cinese sul quaderno” dice
“Cosa significa?” chiedo io
“Ormai è troppo tardi, un’altra volta” mi dice
A quel punto mi sveglio.